Eccoci arrivati al trentesimo COP. Tra i tanti eventi sul clima, questo rimane tra i più attesi e forse il più importante. Il COP30 si terrà tra il 10 e il 21 novembre e parteciperanno oltre 160 Paesi, tra cui l’Italia. Quando si parla di COP, l’abitudine potrebbe far pensare a un appuntamento rituale, fatto di conferenze stampa, padiglioni tematici, dichiarazioni preconfezionate. Eppure, anche chi osserva questi eventi da anni, a volte anche con una certa stanchezza, non può negare che questa volta l’atmosfera sia diversa.
L’evento ha come sfondo la foresta amazzonica, simbolo delle maggiori crisi climatiche, termometro planetario e laboratorio di biodiversità, un serbatoio di carbonio, definita da alcuni il “polmone del mondo”. Un’area che oggi più che mai vive e soffre a causa delle attività umane come l’espansione dell’agricoltura intensiva (in particolare per la produzione di soia e carne bovina), gli incendi dolosi per liberare terreno, l’estrazione mineraria, il disboscamento illegale e la costruzione di infrastrutture.
Il fatto che la prossima COP30 si tenga proprio qui non ci sembra quindi irrilevante: è un messaggio politico oltre che climatico. È lo stesso presidente Lula a lanciare quello che chiama “un appello urgente”. Tutte le nazioni del pianeta sono chiamate in causa con un unico fine, citiamo testualmente: “ripristinare la fiducia reciproca e lo spirito di mobilitazione collettiva per il bene comune”.
Il documento prosegue sottolineando l’urgenza di colmare le lacune ed invita i Paesi che non l’hanno ancora fatto a presentare NDC (contributi determinati a livello nazionale), coerenti con la situazione attuale, che deve tenere conto del fatto che il limite di 1,5° sembra oramai superato, mentre la CO₂ in molte aree del mondo continua a salire senza controllo.
Sembra che il presidente Lula voglia fare rilevare che servono azioni concrete e non un nuovo decalogo di obiettivi da raggiungere o di promesse. Si punta su attività concrete che prevedono, per esempio, finanziamenti a Paesi in via di sviluppo per consentirgli di disporre di mezzi adeguati per l’attuazione dei cambiamenti.
Ma non solo: si richiede un’elaborazione di una tempistica progressiva e vincolante per l’eliminazione dei combustibili fossili. Finanziamenti per preservare le foreste. Un consiglio per il cambiamento climatico a livello mondiale. Finanza sostenibile.
Tutte proposte encomiabili, certamente, ma l’Amazzonia sta aspettando soluzioni da molti anni. La deforestazione ha accelerato e di molto, la siccità ha ucciso perfino i delfini rosa – ne abbiamo parlato nel nostro articolo “La strage dei delfini rosa”, le comunità indigene resistono a stento, continuamente sotto assedio. Ma ora il Paese sembra dichiarare di volersi orientare verso un approccio sociobioeconomico, che dovrebbe fondarsi su una foresta viva e non su una foresta abbattuta. In questo senso, la COP30 potrebbe manifestarsi come una dichiarazione di intenti. Vedremo.
Il Brasile è una delle economie più grandi al mondo, con un’industria sviluppata, ciò nonostante, il Paese deve affrontare sfide complesse legate all’accesso a sanità e istruzione e alla gestione del territorio. Tutti problemi che necessitano di un approccio che integri aspetti economici, sociali e ambientali.
Sembrerebbe che l’economia brasiliana non voglia più puntare solo sul petrolio e la soia, ma anche su prodotti sostenibili, micro-finanza etica e, perché no, conoscenze ancestrali.
La creazione dei Circles (circoli di supporto) sembra seguire una linea fattiva: una proposta per rendere la COP un evento meno “diplomatico” e più orientato alle soluzioni. Questo è l’obiettivo per cui nascono i “Circles”, pensati per proseguire le attività a sostegno della Presidenza della COP30 anche dopo la conclusione della conferenza. I gruppi agiranno in autonomia e sono di fatto 4: Bilancio Etico Globale, Finanza Climatica, il Circolo della Gente (People’s Circle), che ha l’obiettivo di rappresentare le popolazioni indigene, e il Circolo dei Presidenti, che riunisce i presidenti delle COP a partire dalla COP21 del 2015.
Chi segue i COP da anni sa che non sono solo incontri tra governi. Sono anche palcoscenico, vetrina, teatro. Dove si affacciano popoli indigeni, ONG, multinazionali, giovani attivisti e vecchi burocrati del clima. Belém potrebbe essere il tentativo plateale di un cambiamento?.
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