- Paesaggio nell’arte
- Paesaggi inventati in atelier
- L’irruzione del vero: i paesaggi impressionisti
- La riscoperta della natura
Paesaggio nell’arte – impressionisti e paesaggio
È ormai primavera e, con le belle giornate, cresce la voglia di uscire di casa, magari per godersi i colori della natura che rinasce: i fiori che sbocciano, le vallate nuovamente verdi, il cielo terso… Davanti alla bellezza di certi paesaggi ci viene quasi spontaneo scattare una foto, catturando quel momento con il nostro telefono. D’altro canto, anche prima della nascita della fotografia, gli artisti replicavano i panorami migliori con tavolozza e pennello.
In effetti, se chiudessimo gli occhi e provassimo a immaginarci un pittore che dipinge, con buone probabilità, l’immagine che avremmo è quella di un artista davanti a un bel paesaggio che, con pazienza e concentrazione, sta provando a riprodurlo su tela. A noi infatti sembra normale dipingere all’aria aperta, tuttavia non è sempre stato così: fino all’Ottocento, gli artisti lavoravano comodamente nei loro studi.
Paesaggi inventati in atelier
La prassi, dettata dalle Accademie di belle arti, era infatti quella di comporre le scene con oggetti e modelli in studio – quasi fosse una messinscena teatrale – e di dipingere al chiuso. Prendiamo ad esempio il dipinto di Edouard Manet Colazione sull’erba (1862-63, Parigi, Musée d’Orsay): chiunque vedendolo penserebbe che Manet fosse all’aperto e che osservando la scena si sia messo a dipingerla. Non è così: l’opera fu infatti realizzata in atelier, al chiuso! Tutta la vegetazione che vediamo non è reale, ma frutto dell’invenzione dell’artista.
Questo dettavano, dopotutto, le convenzioni dell’epoca. Tuttavia, come direbbe qualcuno, le regole sono fatte per essere infrante, e infatti, un gruppo di giovani artisti si immaginò e mise in pratica un nuovo tipo di pittura: più autentica, capace di replicare le cose come lo sono davvero, colpite dalla luce naturale e non immaginandosele in atelier. Questi pittori volevano riportare sulle loro tele l’impressione che il loro occhio riceveva in un preciso momento, come se si trattasse di fotografare un istante, ecco allora che furono chiamati “impressionisti”.
L’irruzione del vero: i paesaggi impressionisti
Tenendo a mente Colazione sull’erba di Manet, confrontiamolo con un altro dipinto: I papaveri di Claude Monet (1873, Parigi, Musée d’Orsay). Il primo dettaglio che salta all’occhio sono i colori: mentre quelli di Manet sono più spenti, quelli di Monet sono più realistici e vivi, le nuvole nel cielo potremmo vederle ancora oggi in una giornata coperta.
Il campo dei papaveri è attraversato dal vento, motivo per cui Monet non dipinge i contorni dei fiori precisamente, ma in maniera mossa, dandoci l’idea di movimento. Idem per le figure della moglie del pittore e di suo figlio Claude, in primo piano: stanno camminando, quindi i loro volti non possono essere nitidi agli occhi di chi sta velocemente catturando la scena sulla tela.
Insomma, Monet sta dipingendo quello che il suo occhio vede in un dato momento, senza costruire la scena in atelier, ma catturando la realtà en plain air, all’aria aperta.
L’esempio di Monet fu seguito da un gruppo di pittori che furono appunto denominati impressionisti. Tra i più celebri: Pierre-Auguste Renoir, Camille Pisarro; Edgar Degas e Alfred Sisley. La loro intuizione fu per l’epoca una grande novità, che, come spesso accade, non fu inizialmente capita dai contemporanei, a tal punto che gli artisti legati alla tradizione accademica si rifiutarono di esporre assieme a loro, escludendo le loro opere dai salon (esposizioni d’arte) annuali.
Gli impressionisti, tuttavia, non si scoraggiarono, organizzando esposizioni “in proprio” (la prima si tiene nel 1874, guarda caso, proprio nello studio di un fotografo, Nadar) e continuando a portare avanti la loro idea di pittura, riflettendo su come la luce interagisce con i colori.
Prendiamo ad esempio la serie di quadri di Monet dedicati ai paesaggi con covoni di fieno: il soggetto è sempre lo stesso, ma non sembra mai uguale, perché? Perché cambia la luce: Monet dipinge i covoni in momenti sempre diversi del giorno, dimostrando come a seconda della luce cambino i colori. Se guardiamo il dipinto I covoni, effetto di gelata bianca (1889, Farmington, Stati Uniti, Hill-Stead Museum) ci sembra di poter toccare la brina sui campi; viceversa in Covoni, fine estate (1891, Parigi, Musée d’Orsay) riusciamo a percepire la caligine estiva. Fino a poco tempo prima, un’operazione del genere sarebbe stata impensabile dagli artisti!
La riscoperta della natura
Chiaramente la produzione impressionista non si limita al paesaggio rurale, da artisti moderni quali sono, gli impressionisti celebrano anche le novità della Parigi dell’Ottocento, dipingendo grandi boulevard e occasioni mondane (in questo è maestro Renoir, con opere celeberrime come Ballo al Moulin de la Galette, 1876, Parigi, Musée d’Orsay). Tuttavia, è innegabile che gran parte dei dipinti impressionisti abbiano, per la prima volta, come soggetti campi di papaveri, covoni di fieno, colline, laghetti con ninfee (cosa meglio dell’acqua per i giochi di luce?): la figura umana è spesso secondaria, poco importante, se non addirittura del tutto assente.
Insomma, la grande rivoluzione degli impressionisti è stata il riappropriarsi del rapporto diretto con la natura, uscendo dagli studi e dipingendo all’aria aperta. Sarà anche grazie a loro che quando ci troviamo davanti a un bel paesaggio ci viene voglia di catturare l’istante, l’impressione momentanea, fotografandolo?