Stati Uniti in allarme: le acque si innalzano e i fondali si impoveriscono

La NASA e la NOAA lanciano un campanello d’allarme sull’innalzamento accelerato del livello del mare, in particolare lungo le coste statunitensi. Parallelamente, l’ENEA ci allerta circa la progressiva desertificazione delle acque oceaniche. Il Pianeta Blu è sempre più a rischio.

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Nel bel mezzo del cambiamento climatico globale, due fenomeni paralleli e interconnessi stanno ridisegnando il rapporto tra l’umanità e gli oceani: l’innalzamento accelerato del livello del mare, in particolare lungo le coste degli Stati Uniti, e la progressiva desertificazione delle acque oceaniche, con una perdita drammatica di nutrienti e biodiversità.

I dati più recenti lanciati dalla NASA, dalla NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) e da uno studio dell’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) confermano che non si tratta più di previsioni lontane, ma di processi in atto, misurabili e già oggi visibili.

L’allarme dalle coste USA: le acque si innalzano…

Nel 2024, secondo le misurazioni satellitari effettuate dal satellite Sentinel-6 Michael Freilich della NASA, il livello globale del mare è salito di 0,59 centimetri, un valore superiore rispetto alla stima precedente di 0,43 centimetri. Potrebbe sembrare un dato minimo, ma rappresenta un’accelerazione significativa rispetto al trend storico. Dal 1993, anno di inizio delle registrazioni satellitari, il tasso di innalzamento annuale è più che raddoppiato, passando da 2,1 mm a 4,5 mm l’anno nel 2023. Se si continua così, molti territori rischiano di venire definitivamente sommersi, e si farebbe un errore se si pensasse che il fenomeno non ci riguarda da vicino: Venezia sarebbe tra i primi posti a scomparire!

Per gli Stati Uniti, questa tendenza è ancora più marcata. Un recente studio della ha indicato che, entro il 2050, il livello del mare potrebbe aumentare di 10-12 pollici (circa 25-30 centimetri), quasi il doppio della media globale per lo stesso periodo. Alcune regioni, come ad esempio il Golfo del Messico, sono ancora più a rischio, con previsione di innalzamenti fino a 16-18 pollici (oltre 40 centimetri).

…Il suolo si abbassa

A complicare ulteriormente la situazione è il cosiddetto fenomeno della ‘subsidenza’, e cioè il fisiologico abbassamento del suolo, che interessa molte città costiere statunitensi. Secondo un recente studio, pubblicato sulla rivista Nature Cities nel maggio 2025, 28 metropoli americane, tra cui New York, Houston, Chicago e Seattle, stanno subendo un cedimento del terreno che può superare i 2-4 mm all’anno. Questo, in parole povere, significa che, mentre il mare si alza, il terreno si abbassa, aumentando il rischio di inondazioni croniche, danni alle infrastrutture e perdita di aree abitabili.

Gli effetti sono già percepibili: quartieri costieri soggetti a inondazioni anche in assenza di tempeste, risalita di acqua salata nelle falde acquifere, erosione delle spiagge, e danni economici che gravano soprattutto sulle comunità più vulnerabili.

Se non verranno drasticamente ridotte le emissioni di gas serra, gli scenari peggiori per il 2100 parlano di un aumento del livello del mare fino a 2,2 metri. In questo contesto, le comunità costiere rischiano non solo danni materiali, ma anche la perdita di interi territori e di identità culturali legate al mare. Peccato che c’è chi ancora nega che il cambiamento climatico esista…

I deserti blu: la nuova frontiera della crisi oceanica

Parallelamente, uno studio condotto proprio in questi giorni dall’agenzia ENEA, che nel 2024 ha sottoscritto un patto di collaborazione con il CNR per attività di ricerca condivise, ha portato alla luce un’altra faccia della crisi: quella che avviene sotto la superficie degli oceani.

Negli ultimi 20 anni, l’area delle regioni oceaniche povere di nutrienti – e quindi di biodiversità – è, purtroppo, quasi raddoppiata, passando dal 2,4% al 4,5% dell’oceano globale.

Questo fenomeno, chiamato desertificazione oceanica, è causato primariamente dal riscaldamento globale: l’acqua superficiale, più leggera e calda, impedisce il mescolamento verticale con le acque profonde, ricche di nutrienti. Il risultato? Meno cibo per il fitoplancton, l’anello primario della catena alimentare marina e uno degli organismi chiave per la rimozione di CO₂ atmosferica. Particolarmente colpito è il Pacifico settentrionale, dove l’area desertificata aumenta al ritmo di 70.000 km² all’anno.

La desertificazione oceanica, ovviamente, ha già delle ripercussioni sulla vita di molte comunità costiere. Se i ritmi, però, continuano ad essere questi, la pesca e, di conseguenza, anche la nostra sicurezza alimentare sarebbero completamente compromessi.

Un destino intrecciato: oceani e clima

L’innalzamento del livello del mare e la desertificazione oceanica sono due facce della stessa medaglia: il riscaldamento globale. Aumentando le temperature, infatti, si sciolgono i ghiacciai e il livello dell’acqua sale. Parallelamente, si alterano gli equilibri chimici, biologici e fisici degli oceani.

Le conseguenze non si fermano alle coste o ai fondali: riguardano tutti noi. Anzi, poiché è il nostro enorme impatto sul pianeta la causa del problema, sta a noi trovare la soluzione per risolverlo, non solo tramite scelte politiche, ma anche con piccoli gesti quotidiani. Ridurre le emissioni, ripensare i modelli economici e valorizzare gli ecosistemi marini come alleati nella lotta al cambiamento climatico è oggi più urgente che mai.

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Claudia Russo ha studiato storia dell’arte a Siena, Parigi e Bologna. Appassionata di viaggi rigorosamente culturali e di serate conviviali un po’ meno impegnate, curiosa, determinata e amante del bello, trova sempre il tempo per una buona tazza di tè e per interrogarsi, con sguardo critico, sugli avvenimenti del nostro tempo
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