Salvare la memoria del ghiaccio con il progetto Ice Memory

Una iniziativa di ricerca fondamentale per lo stato di salute non solo dei ghiacciai, ma di tutto il pianeta.

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Ha chiuso i battenti quest’inverno (ma speriamo riapra presto: magari per l’estate e per i numerosi turisti che affolleranno le montagne) una iniziativa espositiva davvero inconsueta, e allettante già dal titolo: Buona notte, ghiacciai.

I curatori hanno scelto per allestirla un luogo davvero insolito: il rifugio Lagazuoi, quota 2.732 metri sopra il Passo Falzarego e a metà strada tra Cortina d’Ampezzo e Val Badia. L’esposizione era dunque in situ, perché il suo obiettivo è far conoscere l’attività di Ice Memory: un progetto di estrema importanza per la salute della Terra, riconosciuto per questo dall’UNESCO.

Lagazuoi EXPO Dolomiti, grazie alla curatela di Erica Villa e Enrico Costa, ha portato i visitatori – che potevano salire tramite la comoda e ben conosciuta funivia dal Falzarego – direttamente in un contesto estremo e ai confini del mondo: “dentro” i ghiacciai del pianeta, a scoprire la loro vita segreta – e naturalmente le problematiche, soprattutto ambientali, ad essi legate.

Che cos’è Ice Memory

“La criosfera mondiale è molto sensibile alle variazioni climatiche, tanto che i ghiacciai sono chiamati le sentinelle dei cambiamenti climatici. Il riscaldamento climatico in atto sta avendo un effetto diretto e devastante sullo stato di salute dei ghiacci. Interi sistemi glaciali si stanno riducendo, disaggregando e alcuni, oramai, scomparendo”.

Con queste parole sulla sua pagina web, Ice Memory si presenta e ricorda a tutti come la salute dei ghiacciai sia un “termometro” di straordinaria (e drammatica) importanza sullo stato generale del nostro pianeta.

Con le attuali condizioni climatiche, scrivono gli esperti di Ice Memory, “gli scienziati stimano che la gran parte dei ghiacciai delle Alpi al di sotto dei 3600 m di altitudine sparirà entro il 2100, un danno enorme alla risorsa acqua, oltre alle note conseguenze ambientali”.

Oltre alla perdita di una fondamentale (per tutti noi) riserva d’acqua, l’estinzione dei ghiacciai provocherà anche un irreparabile danno in termini di perdita di dati naturalistici e storico-scientifici. “Tutte le informazioni stoccate nei loro strati vengo letteralmente dilavate e perse fin dalle prime fasi di fusione dei ghiacciai, come l’inchiostro di una splendida poesia che si scioglie sotto un bicchiere d’acqua”.

Dalla necessità di non mandare perdute queste preziose informazioni nasce Ice Memory.

Il progetto di ricerca è internazionale e, come si è detto, riconosciuto dall’UNESCO. L’obiettivo principale è raccogliere e conservare campioni di ghiaccio prelevati dai ghiacciai di tutto il mondo, a rischio di scomparire o ridursi moltissimo a causa del riscaldamento globale.

Tra i capifila del progetto c’è l’Italia, anche e soprattutto per il nostro inestimabile patrimonio di ghiacciai alpini. Sotto la guida del dell’Istituto di Scienze Polari del Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISP-CNR) e l’Università Ca’ Foscari Venezia, assieme alla Fondation Université Grenoble Alpes (FR), lavorano il Paul Scherrer Institut (PSI), CNRS, il French National Research Institute for Sustainable Development (IRD-France); l’Istituto Polare Francese (IPEV) e il Programma nazionale per le ricerche in Antartide (PNRA).

Il primo compito di Ice Memory è quello di creare un archivio climatico mondiale: ovvero una grande banca-dati del ghiaccio, della storia del clima e dell’ambiente. “Mantenere le informazioni disponibili e accessibili è fondamentale per le future generazioni di scienziati” scrivono i promotori. “La conservazione delle carote (le sezioni semicircolari di ghiaccio ricavate tramite carotaggio dei ghiacciai o delle calotte polari, ndr) permetterà nel futuro di avere accesso a informazioni altrimenti non più disponibili e analizzarle con tecnologie più avanzate”.

Per fare questo, da tutto il mondo si stanno selezionando specifici ghiacciai per prelevare dei campioni di ghiaccio rappresentativi del clima regionale.
Sì, ma dove archiviare i preziosi “frammenti” di ghiacciaio, visto che il riscaldamento globale rende gli ambienti sempre più caldi?

“Le carote estratte verranno trasferite in Antartide, un grande freezer naturale, andando a formare quell’archivio del clima tanto prezioso”.

Le ultime analisi: il Grand Combin

Una delle iniziative più importanti di Ice Memory negli ultimi anni ha visto gli scienziati dell’Istituto Paul Scherrer PSI – in collaborazione con i colleghi dell’Università di Friburgo e dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, nonché dell’Istituto di Scienze Polari del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) – analizzare le carote di ghiaccio prelevate dal ghiacciaio Corbassière presso il Grand Combin in Vallese nel 2018 e nel 2020.

L’analisi è stata pubblicata sulla rivista “Nature Geoscience”, e ha dato risultati demoralizzanti, non solo per gli scienziati.

“Il riscaldamento globale” scrivono gli esperti “ha reso questo ghiacciaio inutilizzabile come archivio climatico”.

In sostanza, il ghiacciaio di Corbassière, sul Grand Combin (un ghiacciaio di tipo vallivo fra i più spettacolari di tutto l’arco alpino, lungo circa 9.8 chilometri, largo fino a più di un chilometro e esteso per circa 17.4 km², meta tradizionale degli alpinisti di tutto il mondo) non fornisce più informazioni affidabili sul clima e sull’inquinamento atmosferico del passato.

Il motivo è che si sta sciogliendo più rapidamente di quanto si pensasse.

Gli scienziati guidati da Margit Schwikowski, responsabile del Laboratorio di Chimica Ambientale del PSI, e Carla Huber, dottoranda e prima autrice dello studio, sono giunti a questa conclusione confrontando le firme delle particelle fini intrappolate negli strati annuali di ghiaccio.

In pratica, si è scoperto che la quantità e la concentrazione di oligoelementi legati alle particelle del ghiaccio è diminuita visibilmente nei rilevamenti degli ultimi anni.

Margit Schwikowski ha spiegato così la discrepanza: “Tra il 2018 e il 2020, lo scioglimento del ghiacciaio deve essere stato così grande che l’acqua è penetrata spesso e in grandi quantità dalla superficie all’interno del ghiacciaio, portando con sé gli oligoelementi che conteneva. Ma a quanto pare, una volta lì, l’acqua non si è ricongelata, concentrando gli oligoelementi. È semplicemente fluita fuori e li ha lavati via”.

Insomma, l’archivio climatico è praticamente distrutto. “È come se qualcuno fosse entrato in una biblioteca e, oltre a distruggere tutti gli scaffali e i libri, ne avesse rubato la maggior parte e avesse confuso le parole in quelli rimasti, rendendo impossibile ricostruire i testi originali una volta per tutte”, è stato detto.

I dati meteorologici dal 2018 al 2020 dell’area circostante al Grand Combin, esaminati dagli scienziati, hanno confermato i sospetti: in questo periodo il ghiacciaio è stato molto caldo, in linea con l’andamento climatico generale. “Questo forte scioglimento non è dovuto a un singolo fattore scatenante, ma è il risultato dei molti anni caldi del recente passato”, spiega Margit Schwikowski. “È chiaro che è stata superata una soglia e che questo ha avuto un effetto relativamente forte”.

“Sappiamo da tempo che le lingue dei ghiacciai si stanno ritirando”, ha osservato la ricercatrice. “Ma non avremmo mai pensato che anche le zone di accumulo dei ghiacciai di alta montagna – cioè le loro parti più alte, dove il ghiaccio si rifornisce – potessero essere colpite in modo simile”.

Emerge allora in modo ancora più chiaro e stringente la necessità di conservare in modo permanente e sicuro le “carote” di ghiaccio: come si è proposto di fare Ice Memory, cioé in una ghiacciaia nel centro dell’Antartide, vicino alla stazione di ricerca franco-italiana Concordia.

Le costanti temperature sotto lo zero (-50°C in media) vicino al Polo Sud garantiscono che le carote rimarranno utilizzabili per lo studio in futuro, anche nella funesta prospettiva che il riscaldamento globale abbia sciolto tutti i ghiacciai alpini.

Una corsa contro il tempo. Ice Memory e il ghiacciaio del Lys.

Se quella sul Grand Combin è stata una missione dai risultati demoralizzanti, non è azzardato invece definire un successo la “spedizione” che Ice Memory ha condotto nel 2023 a 4.155 metri di quota sul ghiacciaio del Lys.

Il Lys è uno dei gioielli delle nostre Alpi, incastonato nel massiccio del Monte Rosa. Contornato dalle vette dei Lyskamm, del Balmenhorn, della Ludwigshöhe e della Piramide Vincent, con i suoi 3920 m quadrati di estensione è tra le distese di ghiaccio più ampie non solo della Valle d’Aosta, ma di tutto il versante meridionale alpino.

E’ stato un team di scienziati italiani (Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche, Università Ca’ Foscari Venezia, Istituto di fisiologia clinica del Cnr, Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) a portare a termine con successo la missione di estrarre due campioni di ghiaccio profondi oltre 100 metri.

Una delle due “carote di ghiaccio” estratte dai ricercatori è stata inviata alle analisi nei laboratori dell’Università Ca’ Foscari Venezia. L’altra è partita per la “banca dei ghiacci”, o “grande freezer” di cui si è detto, in Antartide presso la base italo-francese di Concordia.

Grazie a questi reperti, il ghiacciaio del Lys costituirà uno straordinario libro da esplorare per conoscere nel dettaglio e ad altissima risoluzione l’evoluzione del clima negli ultimi 150-200 anni.
Non è difficile, anche per i non esperti, capire quanto saranno importanti le informazioni che ci offrirà per la sempre più drammatica lotta contro i cambiamenti climatici che dovremo affrontare.

Da G.T.M.
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